"PROGETTO URBANO CASTELVERDE"
Autore Annachiara Bonora
Tipologia Tesi di Laurea
Tutors Prof. arch. V. Palmieri
Prof.ssa arch. A. Metta
Anno 2013
Percorrendo le vie consolari verso la periferia di Roma, superato il G.R.A., si percepisce un carattere evidente della struttura di questa città: l’assenza della relazione che usualmente intercorre tra un insediamento e il paesaggio che lo comprende, il rapporto figura-sfondo. Lacerti di agro romano si alternano a porzioni di costruito cresciute in maniera disorganica come figure percettivamente equivalenti; restituiscono un paesaggio eterogeneo e frammentario in cui i rapporti tra naturale e artificiale, tra dentro e fuori, tra grande e piccolo, perdono definizione e si dissolvono in un continuo divenire di modificazioni e ibridazioni.
Un territorio così conformato deve essere letto come processo, come suolo modellato prima dagli elementi naturali e poi dalle attività dell’uomo, che ne riconosce qualità e vocazioni. Per comprendere la struttura della città, e specialmente di questi brani di città, è necessario comprendere la struttura orografica e ambientale del territorio che la accoglie.
L’area della periferia Est di Roma, presa in analisi, è modellata da un sistema di vallecole e fossi che scendono verso l’Aniene dal distretto vulcanico dei Colli Albani. In questa successione di rilievi e avvallamenti, si innesta un primo sistema di percorrenze, orientato dalla forma del suolo: fossi, crinali - spesso coincidenti con i percorsi - e strade consolari, che si costituiscono come elementi di limitazione naturale e come sostrato per le successive trasformazioni.
Sulla base di questa tessitura di trame vegetali e storico-infrastrutturali è cominciato il processo di misurazione e partizione del suolo, in cui intervengono solidalmente caratteri naturali e logiche insediative, sempre legate a strategie di sfruttamento e rendimento del terreno.
Un campione esemplificativo è la zona della via Prenestina, compresa tra i grandi segni territoriali dell’Aniene, dell’autostrada A24, e della ferrovia Roma-Pescara, della strada consolare Casilina e del G.R.A. Si tratta di un territorio che, seppur ripetitivo e destrutturato dal punto di vista urbano, si mostra sensibile alle suscettività morfologiche del terreno che sfrutta: più denso sui pianori, lungo le percorrenze principali, scioglie le sue maglie in corrispondenza di fossi e corsi d’acqua. In maniera inversamente proporzionale, i piccoli riquadri recintati di olivi, viti e ortaglie, visibili qua e là tra l’abitato, si ricompongono in un mosaico di colture quando si arriva in prossimità delle ultime propaggini dell’insediamento, sui bordi di un versante o nei fondovalle.
Questo tipo di insediamento deriva dal territorio non solo le sue condizioni al contorno, i suoi limiti, la sua forma, ma anche la sua strutturazione interna, legata al disegno catastale dei possedimenti agricoli: un territorio stratificato, utilizzato e poi riutilizzato, a cui si vanno aggiungendo nuovi segni e una più recente edificazione, diversa per tipologia, altezza, distacchi e densità.
Lo studio si concentra sull’area del Fosso dell’Osa, che presenta tutti gli elementi considerati in maniera evidente e significativa. Sul Fosso dell’Osa, profondo e immediatamente riconoscibile, si affacciano le due borgate abusive di Osa Sant’Egidio e Castelverde, cresciute lungo i fossi che ne hanno determinato forma e confini naturali.
I due quartieri si sviluppano lungo due dorsali parallele al sistema dei fossi, a partire delle quali si diramano a pettine una serie di trasversali che impiantano l’edificato e s’interrompono bruscamente laddove le case finiscono, riducendo la viabilità secondaria a una serie di strade chiuse ad uso dei soli abitanti. Ad oggi, un’unica strada garantisce il collegamento diretto tra i due nuclei, denunciando l’estrema discontinuità di un paesaggio caratterizzato da edilizia degradata eppure in continua espansione.
Di fronte alla situazione rilevata si propone un progetto di ricomposizione territoriale, a partire dal riconoscimento del sistema morfologico, di quello delle trame vegetali e quello infrastrutturale come un tutto coerente, intelligibile e relazionabile. Soprattutto attraverso la materia vegetale, si lavora sulla costruzione di un’ossatura unica ma gerarchizzata. In particolare, l’ambito del fosso, riconosciuto e potenziato in quanto struttura principale, viene connesso al sistema antropico in graduale successione: la tessitura arborea naturale, irregolare e pluristratificata, viene addomesticata per incunearsi nelle numerose porosità del tessuto, fino ad assumere la configurazione di veri e proprio filari lungo le strade di penetrazione nel costruito.
Si cerca di intervenire il meno possibile sull’edificato: il pieno viene aggiunto soltanto laddove sembra essere necessario per mettere in evidenza il vuoto, unico collante tra parti isolate. Si propone piuttosto un approccio che intende sfruttare le opportunità offerte da una struttura urbana tanto fragile, affidando ad un progetto di suolo il compito di ricomporre figure rotte, di relazionare elementi semplicemente accostati, di significare nuovi possibili interventi e di costituire lo spazio pubblico in una città fatta di una sequenza di recinti privati.